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SEI IN VECCHIO SITO : Conoscere basilicata - Scrittori ed Autori Lucani
oltre le suggestioni biografiche
Ancora forte è la suggestione che promana dalla biografia
di Giuliana Brescia e che tende a contaminare il giudizio sul piano letterario
per le notazioni intrinseche, per la partecipazione, sul piano emotivo alla
esistenza breve dell'autrice.
Proprio le notazioni biografiche suggeriscono facili comparazioni con Isabella
Morra ed offrono suggestioni legate ad impliciti riferimenti per la linea di
comune accostamento e con l'inevitabile rischio della contaminazione e della
limitazione, sia per la distanza di secoli che le separano con le implicazioni
di costume, di situazioni, di momenti storici e in generale di cultura, sia
per l'aspetto familiare e sociale che le diversificano.
Legate entrambe da una biografia assai particolare, per la brevità della
loro vita terrena, per una sorta di prigionia psicologica che le ha costrette
nei meandri di un'esistenza, per ragioni diverse, labirintica, unite dalla condizione
di donna pur nella sostanziale diversità della situazione, anelanti entrambe
ad un'esistenza libera da condizionamenti e vittime di un pessimismo più
o meno cupo ed evidente, figlie del loro tempo anche sul piano stilistico e
della modulazione poetica, vicine nel rapporto con la religiosità e con
la fede, vittime di una linea di destino per tanti versi assurdo ed incomprensibile,
ed entrambe appoggiate o incatenate alla forza della parola per raccontare attraverso
essa il dramma esistenziale tentando di rifuggire atteggiamenti pietistici o
di maniera.
Se questi possono essere fili conduttori capaci di creare intrecci e riferimenti
ma soprattutto suggestioni vale la pena tuttavia raccontare la loro poesia in
maniera separata e distinta perché i percorsi sono decisamente diversificati.
I lavori di Giuliana Brescia sono stati pubblicati dopo la sua morte.
Possiamo ricordare il volumetto dal titolo "Poesie del dubbio
e della fede" che rivelano, nell'immediatezza, il carattere della poesie
con le ansie, le angosce, i tormenti, i dubbi, la solitudine, la pena di vivere,
lo sgomento, il rifiuto dichiarato del mondo nel contrasto da un lato del bisogno
di essere, di gridarlo e dall'altro di lasciarsi andare.
Lo possiamo scoprire già nella prima delle sue poesie dal titolo "Ribellione"
"
Scenderò parlerò griderò
che son viva, che voglio, che posso!
E infine, ben venga la morte,
saprò dire anche a lei che disprezzo
questo mondo.
Si snoda il percorso poetico con momenti di infinita tristezza, con qualche tentativo di bilancio, con la inevitabile stanchezza, con lo scorrere vano delle ore, con gli smarrimenti, il bisogno di amore e di affetto ma anche con i sogni senza le albe:
Non ho più voglia di ridere,
non ho più voglia di piangere,
non ho più la forza di vivere
Io resterò immobile,
con negli occhi attoniti
un sogno che non vedrà l'alba.
E subentrano i ricordi più o meno lontani, ammantati di sogni o "di tele di sogni", di silenzi, di illusioni, di mancanze e di bisogno di credere, prima di chiudere con la poesie "Commiato" dedicata ai genitori dove è insistente ed autentica la sua dichiarazione d'amore per essi.
Il secondo volume ha per titolo "versi affioranti dai cassetti" e
presenta in chiusura canovacci di storie e racconti.
Se Roberto Mandel al 20° Festival della poesia italiana contemporanea sottolinea
il senso stoico di quasi indifferenza e di distacco verso la vita, risultando
tale giudizio forse poco profondo e meritevole di maggior ripensamento e se
Tommaso Fiore rievoca in Giuliana la testa pensosa e le trecce d'oro di Laura,
con un richiamo di grosso effetto emotivo e con accostamento alla figura femminile
più importante di Petrarca, sia pure appena accennato e non del tutto
giustificato e puntualizza la carica di significatività delle immagini
e la tensione del cuore verso le voci misteriose della natura e se Enzo di Poppa
pone l'accento sulla capacità dell'autrice di interrogare la natura e
di problematizzare il senso dell'esistenza, seguendo una linea di pessimismo
anche accentuato e in correlazione con la giovane età, se tutte queste
cose possono assumersi come accettabili, forse il giudizio più rispondente
e completo ma anche abbastanza, risulta quello di Giuseppina Cervellino Masiello
che parla di voce dolente di poesia, di espressione profonda di un sentimento
universale, di testimonianza appassionata, di una tristezza antica e presente.
E tale giudizio, che mi pare si possa condividere, sembra fare il paio con quanto
scrive altrove: "Giuliana diviene la testimonianza di una ricerca esistenziale,
che scava il perenne dualismo tra ragione e fede, scopre l'universalità
del dolore e canta, con la voluptas dolendi leopardiana e la toccante sensibilità
proustiana, la sinfonia della vita e il cupo presagio della morte".
Pure degno di attenzione mi sembra il rilievo di Maria Rosaria Curto che sottolinea
la musicalità e l'intensità dei versi nel dramma di una donna
che si fonde nella poesia e ugualmente mi pare attendibile quanto scrive Enrico
Schiavone che indica nel percorso poetico di Giuliana la storia della morte,
ma pure della vita che si riafferma attraverso la espressività della
parola che mette a nudo la sua anima.
Ed è proprio la parola di Giuliana, la parola poetica ad imporsi, ma
senza forza, anzi con delicatezza, nell'armonia della collocazione, generalmente
piana e addolcita, come filtrata e stemperata, ritmicamente gradevole, a tratti
quasi carezzevole e come scivolante morbidamente nel verso che si carica di
suoni appena percettibili e di contenuti meditati ed attutiti nella sofferenza
pure evidente che da soggettiva tende a diventare universale e come tale ad
appartenere a tutti i lettori, in tutto o almeno in parte.
Ma seguiamo un po' il percorso di Giuliana attraverso l'analisi del volume "Versi
affiorati dai cassetti."
Al sogno vago di Isabella di poter un giorno raggiungere il padre sembra fare
riscontro quello di Giuliana nella poesia "desiderio di nuovo": sogno
vago e indefinito e forse indefinibile di partire, di vagare in luoghi del desiderio
per dimenticare, per lasciarsi alle spalle il passato, mai raccontato e mai
configurabile con questo o quell'evento ma ugualmente noioso, triste o semplicemente
molesto, ma anche per cercare con occhi nuovi e per ritrovare l'anima giovinetta
di un tempo. E quindi già compare fortemente dichiarato una sorta di
ripiegamento su se stessa e una linea di percorso a ritroso, quasi a voler ripartire
da zero.
Il sogno, dunque, che libera dalle ansie ed è ristoratore, accompagna
l'autrice e si affida, nella linearità dello stesso, alla pulizia del
linguaggio, alla semplicità del verso che assume connotazioni di morbidezza
vellutata.
Si apre così l'itinerario lirico, a forti tinte, o a tratti pastellato,
nell'ambito dell'intimismo e della fragilità individuale, ma anche con
toni di malinconia dichiarata e sofferta, con sospiri e rimpianti indefiniti,
nel contrasto tra la vita e la morte che richiama, per associazione di idee,
altri contrasti.
"I miei sogni si sono
persi
nel deserto desolato
della realtà"
scrive la giovane poetessa e la modulazione delicata e dolce, quasi neniata e ipnotica, con accostamenti a certi versi di dickinsoniana memoria, si ripropone anche altrove e costituisce quasi una sorta di filo conduttore sul piano stilistico, narrativo e formale:
"Ho lasciato vagare
sui campi
bianchi di neve
il mio sguardo".
Dolcezza e musicalità che sembrano bene accompagnarsi, con il richiamo tematico - contenutistico, all'ansia di un'anima in pena per non sapere, o non potere, donare ciò che vorrebbe e sente che dovrebbe e per riuscire, a volte, a porgere solo il senso di un'illusione che, come tale, risulta vuota e insoddisfacente.
"Vorrei poter donare
quel che mi chiedi
senza saperlo
e non soltanto l'illusione
di essere amato"
La malinconia, con la sensazione di qualcosa irrimediabilmente perduta, torna sempre e con insistenza, senza farsi tuttavia ossessionante ed opprimente, per la capacità dell'autrice di saperla raffrenare, di trattenerla e di farla affiorare appena dall'anima, poco alla volta, dosandola con saggezza e ammorbidendola o collegandola, sovente, alla fanciullezza passata, alla sete ardente e inestinguibile, alle notti insonni, al cerchio angoscioso che stringe alla vita, alla morte con l'ansia e la speranza che
'venga a chiuderci gli occhi
per un'ora o per sempre"
E così il sentore del tempo andato si trasforma in cose vane anche se, a tratti, e quasi imprevista e improvvisa, sembra apparire una strana voglia di ripresa:
"Ho voglia di imparare a vivere"
che sembra prepotentemente richiamare il mestiere di vivere di Cesare Pavese
con tutto il riferimento alla vasta problematica del male di vivere che attraversa
il novecento letterario italiano e che diventa pena di vivere, sofferenza, incapacità,
condanna da scontare vivendo e altro ancora.
Strana voglia di vivere, che, in realtà, è solo di un palpito,
un attimo, un momento di quasi folgorazione prima di ricadere, ancora più
convintamente e pesantemente, nello sconforto.
"Il mio cuore non sa
aprirsi alla vita
e il tempo
l'ha come svuotato
di quei sogni che avevano
sapore
di dolce presente
e di un domani
di poesia"
Poesia come momento di catarsi o come elemento salvifico ma
non duraturo e comune a tanti grandi poeti, da Foscolo a Montale, solo per tracciare
una linea indicativa. Poesia come aggancio estremo ed illusione prima di ripiombare
nel travaglio intimo e straziante dell'incessante rovellìo che si tramuta
o prende forza da segmenti improvvisi, delusioni ritornanti, monotonie opprimenti,
bolle di vuoto, disincanti evidenti, lamenti inevitabili, ironie prossime alla
satira, turbamenti profondi, smarrimenti certi, simulacri e visioni in un intrecciarsi
continuo e sconnesso che costringono al ripiegamento di se stessa nel vano tentativo
di interrogare il proprio cuore.
E se prima la poetessa si domanda:
"Oh, perché io devo
attendere sempre?"
e poi dichiara:
"Ho paura
di ritrovare in me
parole
speranzose della vita",
alla fine tutto diventa certezza nella negazione:
"Io cantavo del cielo
e quante stelle già conoscevo,
le ho spente:
lucevano troppo
sopra gli angoli neri
dell'anima mia".
E' consapevole che il suo è un canto delirante tanto da dire:
"Ho la febbre e mi sento
impastata di sonno e di follia".
Altrove ella è anche più diretta e sembra quasi pregare nella previsione del suo ultimo viaggio:
"Me ne andrò.
Non tiratemi il lembo
della veste
ho stanco il cuore".
E il cuore torna spesso nei dialoghi brevi ed intensi e, pur con le distanze,
inevitabili anche sul piano formale, per associazioni di idee che la mente spontaneamente
realizza, pare quasi di risentire Gozzano con il suo "Mio cuore monello
giocondo che ridi pur anco nel pianto
" Io trovo una certa vicinanza
tra i due poeti non certamente sul piano formale perché i due stili sono
lontani, ma in quella sorta di accoramento per il cuore giovane nella inevitabile
dissociazione immaginata.. E trovo soprattutto la vicinanza nel sentire la morte
non come incombente, spettrale, paurosa, seppure assurda ed inconcepibile, ma
piuttosto con il senso dell'inevitabilità del suo sopraggiungere, senza
far neppure troppo male e quasi ad appianare le sofferenze della vita. Diverso
è il punto di partenza: Gozzano la eviterebbe ma se ne fa quasi una ragione
nell'attendere la "signora vestita di nulla che tutto che tocca trasforma",la
Brescia sente che non può evitarla e pare quasi che anche lei riesca
a farsene una ragione.
Ma il percorso poetico continua e, anche se sul piano formale, sembra sussistere
una sorta di cambiamento. Non muta l'assetto tematico ma quello stilistico come
si può notare nella poesia Autolesionista:
"Sta scendendo la sera
e io leggo appena
le parole che scrivo
ma tutte le sento
dinanzi a me
in fila e minacciose.
Sono pronte
a slanciarsi contro il mio petto
per annientarmi,
ed io ne ho paura, eppure
continuo a farmele sfilare
dinanzi,
lasciando che ognuna
mi segni con una ferita
senza sangue".
Dunque anche le parole sembrano tradirla, le sue parole, quelle che produce
il suo intimo, sembrano rivoltarsi contro irriverenti e la segnano con ferite
tanto più profonde perché non visibile e senza sangue. Il linguaggio
sembra più crudo, senza alcuna forma di indulgenza, quasi a un passaggio
di realtà amara nella accettabilità e nella ineluttabilità
come risulta dalle altre poesia a seguire. Nella poesia "Inerte" scrive:
"La spuma bianca
di un mare monotono
s'è spenta
in un murmureggiare
che non ha parole
reali.
Io rimango
sommersa di rena
ad attendere un grido
che mi risvegli."
E ancora la parola, dopo averla negata e ricercata, torna a farsi poesia come àncora unica ed ultima, come velo di speranza. Perché la poesia di Giuliana Brescia apre alla speranza, senza dichiararla troppo apertamente e la lascia filtrare con delicatezza, quasi una sorta di balenìo e come se si vergognasse ad affidarsi ad essa. Basta considerare la poesia "Parole gradite", positiva già nel titolo.
"Avere parole,
parole da riempire tutta
la mia camera buia
e sentirle alitarmi
sul viso che son vive.
vederle leggére e colorate,
morbide, tènere come drappeggi
di velluto, che coprono
lo squallore bianco
dei muri"
E che cos'è se non una richiesta tacita di luce, di calore, di speranza
di sogno di vita?
E le parole, che da sole non possono più bastare, sembrano abbandonare
del tutto e cedere il posto a una luce fredda che in guisa di mille frecce sembra
destinata a squarciarle il cuore.
E se la parola viene a mancare subentra la necessità di tacere per chiudere
gli occhi alla vita, e ciò indipendentemente dal fatto che aquile volano
sul capo della poetessa per attirare la sua attenzione nell'inviolabile azzurro
lontano, forse troppo lontano.
Il percorso continua, con alti e bassi, con qualche linea velata di speranza
e con chiusure che vogliono apparire totali, con il canto dei passeri come un
singhiozzo come un pianto eterno che non ha ragione come il desiderio ardente
di
"tacitare il mio cuore
e non vedere
la mia immagine stanza".
L'ultimo lavoro va sotto il titolo di "Altri canovacci
di racconti che non scriverò e miscellanea".
Fin qui Giuliana, con il suo dramma esistenziale, ma ci piace chiudere on un
riferimento dolce e, per certi tratti crepuscolariano, con la poesia "Ombre
irreali" tratta da "Poesie Del Dubbio E Della Fede."
"T'ho amato.
Così, dolcemente
e senza saperlo.
M'accorsi d'un tratto
di piangere lacrime
gonfie d'amore,
sognando la notte
soltanto di te.
leggevo il domani
nel fondo degli occhi
trovando la vita
in un bacio,
nel dolce veleno
di un tacito inganno;
nel sole la gioia
di un nuovo mattino
nel buio la speranza
di un giorno d'amore.
E tu mi parlavi
col cenno degli occhi
stringendomi forte,
baciandomi, dolce.
Ho amato
in ogni tuo gesto,
in ogni parola
non te, ma forse soltanto
un'ombra irreale
di un sogno:
ché il sogno tu fosti
di un cuore, ansioso
di vivere e amare:
e voglio pensarti
domani, per sempre
soltanto così"